I nostri rappresentanti
A questo punto non si può parlare con metafore o luoghi comuni.
Abbiamo assistito a dibattiti a dir poco imbarazzanti.
Sono sedute, da una parte, sul palco, persone che debbono far capire e tradurre tramite il loro intervento ciò che avviene oggettivamente sul territorio e nella società, dall’altra parte, nella platea, persone che sono disposte ad ascoltare, bisognose di sapere, di avere chiarimenti.
Il dibattito dunque, oggettivamente mette in luce le esposizioni di chi parla e le riflessioni di chi ascolta. Noi eravamo ad ascoltare per un bisogno di cogliere spunti riflessivi e per verificare ciò che magari la nostra condotta di vita non ci permette di valutare con completezza.
Perché la nostra conclusione è di totale imbarazzo? Quale tipo di imbarazzo? Quello che si prova quando chi parla comunica la propria totale incapacità a sostenere il ruolo che occupa, quando chi parla non fa stare in piedi un concetto perché letteralmente sprovvisto di lessico appropriato e di mezzi linguistici per cui la struttura del proprio discorso ne risulta debole ed i concetti elementari.
All’imbarazzo si affianca poi l’indignazione. Quella che si prova quando chi parla rappresenta ufficialmente uno o più settori della società e che per fare ciò è pagato con i soldi dei cittadini o dei sostenitori, e quando chi ascolta è in difficoltà oggettive a trovare un lavoro e a sostenere quel lavoro che vorrebbe fare.
Una volta si declamava “vergogna! “ Ma adesso non si può più reagire con slogan. Bisogna convertire lo slogan con messaggi semplici, ma efficaci e proponenti azione.
Dobbiamo ritrovare il percorso perché chi rappresenta i cittadini, le comunità, le associazioni ecc. abbia una preparazione culturale adeguata, una preparazione in materia adeguata, abbia compiuto passi in prima persona che gli permettano di relazionare in modo che chi ascolta possa valutare i concetti e non essere distolto da altre conclusioni, prima fra tutte quella di mettersi le mani nei capelli!
Un’altra conclusione è anche più drammatica poiché nasce dalla riflessione e non dall’impulsività e cioè: se chi “parla” ( ed abbiamo messo le virgolette perché affidiamo un concetto ben preciso al verbo parlare) lo fa con quella capacità di esposizione e di deduzione non è materialmente possibile che la propria carriera politico-professionale l’ abbia condotta/condotto lì a ricoprire quel ruolo, quindi se ne conclude, ed ecco la preoccupazione e drammaticità, che qualcun altro agisca in malafede per coprire chi davvero guida il cammino, copra altre azioni che in quel momento hanno bisogno di essere coperte; tutto questo, appunto, approfittandosi di una o più persone che per il proprio bagaglio culturale non possono avere la discrezione ed il buon gusto di non accettare certi incarichi.
Abbiamo assistito a dibattiti a dir poco imbarazzanti.
Sono sedute, da una parte, sul palco, persone che debbono far capire e tradurre tramite il loro intervento ciò che avviene oggettivamente sul territorio e nella società, dall’altra parte, nella platea, persone che sono disposte ad ascoltare, bisognose di sapere, di avere chiarimenti.
Il dibattito dunque, oggettivamente mette in luce le esposizioni di chi parla e le riflessioni di chi ascolta. Noi eravamo ad ascoltare per un bisogno di cogliere spunti riflessivi e per verificare ciò che magari la nostra condotta di vita non ci permette di valutare con completezza.
Perché la nostra conclusione è di totale imbarazzo? Quale tipo di imbarazzo? Quello che si prova quando chi parla comunica la propria totale incapacità a sostenere il ruolo che occupa, quando chi parla non fa stare in piedi un concetto perché letteralmente sprovvisto di lessico appropriato e di mezzi linguistici per cui la struttura del proprio discorso ne risulta debole ed i concetti elementari.
All’imbarazzo si affianca poi l’indignazione. Quella che si prova quando chi parla rappresenta ufficialmente uno o più settori della società e che per fare ciò è pagato con i soldi dei cittadini o dei sostenitori, e quando chi ascolta è in difficoltà oggettive a trovare un lavoro e a sostenere quel lavoro che vorrebbe fare.
Una volta si declamava “vergogna! “ Ma adesso non si può più reagire con slogan. Bisogna convertire lo slogan con messaggi semplici, ma efficaci e proponenti azione.
Dobbiamo ritrovare il percorso perché chi rappresenta i cittadini, le comunità, le associazioni ecc. abbia una preparazione culturale adeguata, una preparazione in materia adeguata, abbia compiuto passi in prima persona che gli permettano di relazionare in modo che chi ascolta possa valutare i concetti e non essere distolto da altre conclusioni, prima fra tutte quella di mettersi le mani nei capelli!
Un’altra conclusione è anche più drammatica poiché nasce dalla riflessione e non dall’impulsività e cioè: se chi “parla” ( ed abbiamo messo le virgolette perché affidiamo un concetto ben preciso al verbo parlare) lo fa con quella capacità di esposizione e di deduzione non è materialmente possibile che la propria carriera politico-professionale l’ abbia condotta/condotto lì a ricoprire quel ruolo, quindi se ne conclude, ed ecco la preoccupazione e drammaticità, che qualcun altro agisca in malafede per coprire chi davvero guida il cammino, copra altre azioni che in quel momento hanno bisogno di essere coperte; tutto questo, appunto, approfittandosi di una o più persone che per il proprio bagaglio culturale non possono avere la discrezione ed il buon gusto di non accettare certi incarichi.
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