I giovani e la politica


La cosa più evidente che è ho colto dall’avere ascoltato un dibattito sul tema “i giovani e la politica” è che quando si cita la parola politica, la si associ alla politica nazionale, quella del parlamento, dei ministri, quella delle grandi decisioni, quella dei grandi nomi della televisione.
In questi dibattiti locali si scimmiottano i discorsi sui temi nazionali, delle politiche internazionali. Chi parla è quasi preso, senza malizia o presunzione, da un senso di imitazione, di “ora tocca a me e devo farmi sentire preparato” o dal volere dimostrare che si seguono certi programmi televisivi. E’ come quando da bambini si gioca a fare i mestieri dei grandi.
Si chiedevano appunto su come i giovani si approcciano alla politica. Non mi sembra che sia stata data una risposta al tema, se non quella generalista che i giovani non si accostano alla politica perché sporca ecc. ecc.. Insomma, quando ad un dibattito locale si affronta il tema politica si cade purtroppo nel parlare di quella nazionale e in questo caso del perché la gente vota Berlusconi, o della Lega. E tutto questo, dopo un po’ che si ascolta, stanca, diventa noioso, ognuno comincia a farsi in testa paragoni con le frasi sentite dai famosi giornalisti e genera imbarazzo il confronto fra gli stili.
Allora cosa vuol dire “i giovani e la politica”? Bene, cominciamo a dire che la politica non è solo quella appena descritta, ma anche, e non per fare la classifica di merito o di livello, quella cittadina locale, quella fatta da e con le persone che si possono incontrare davvero per strada o in qualsiasi luogo fisico, dalla chiesa al supermercato.
Uno dei partecipanti ha riconosciuto ed associato l’azione politica locale comunale alle riparazioni delle buche delle strade come se questa fosse un fatto limite, superficiale, ed ha commesso un errore gravissimo. Questa associazione mentale citata è emblematica. La politica cittadina, di quartiere, è a tutti gli effetti, vera politica. Nei fatti noi tutti siamo cittadini, operatori nel territorio, protagonisti della nostra vita quotidiana e non Santori, Di Pietri, Vespe insomma opinion leaders di livello nazionale ma protagonisti e vittime sia delle “buche nelle strade”ammesso e non concesso che questo  aspetto sia bassa politica, che vittime di una sostanziale politica che ci fa vivere male o a disagio e non perché ha vinto Berlusconi o Prodi o chissà chi, ma perché la giunta comunale è formata da persone, che spesso debbono render conto ai politici più in alto di loro. La riprova è che molto spesso gli amministratori comunali se ne vanno in regione o al parlamento premiati per il loro modo di fare non dai cittadini ma dai suddetti partiti.
La discussione “i giovani e la politica” allora andrebbe ricondotta ai temi locali che sono lì davanti a noi. L’urbanistica di una città offrirebbe davvero argomentazioni per avvicinare i giovani alla politica. Si cominci a scuola a far conoscere sotto l’aspetto urbanistico la storia del territorio dove viviamo. Senz’altro fornendo prima le istruzioni per l’uso, facendo cioè tutto un lavoro di presa di coscienza di cosa sia una città, la propria città, su come si legge il territorio e da qui cominciare ad insegnare come lo si altera, lo si gestisce, lo si affronta. Altro che “buche nelle strade”. Ogni persona fisica ha le potenzialità per l’impegno politico ed anzi molto spesso fa politica senza saperlo o senza volere riconoscere nella propria azione attività politica. La politica è partecipazione a qualsiasi azione che contempli l’interesse proprio affiancato a quello altrui. Politica la si fa nelle riunioni serali di persone quando si parla di portare un aiuto a persone svantaggiate, di come organizzare una visita culturale. Politica la si fa quando un gruppo di genitori si riuniscono per scongiurare la gita scolastica alla “prova del cuoco” voluta da un insegnante ( non dell’istituto alberghiero! ). Scrivere ad un sindaco o ad un assessore è già azione politica. Non vorrei che si volesse intendere con il tema “i giovani e la politica” qualcosa che voglia dichiarare il fallimento del partito politico che non ha più manovalanza tradizionale, quella che utilizzavano il P.C.I. o la D.C. fino a quando trovavano in quell’impegno dei giovani la linfa per perpetrare quel modo di fare. Tant’è che Beppe Grillo ci ha dimostrato che fare politica può passare da uno strumento come internet, indipendentemente dal pensarla come lui.
Ecco dunque che semmai manca il germe della partecipazione, ciò che faccia sentire una persona, giovane o meno giovane, impegnata in azioni che lo riguardino nei rapporti con gli altri. Questo lo può fare solo la scuola. Solo la scuola può far germinare lo spirito di partecipazione. Un paragone di chiarimento di questo concetto lo può dare la musica, l’istruzione musicale. Suonare un breve brano di Clementi o Diabelli è musica, non altro. Il Requiem di Mozart è musica, non altro. Ambedue possono essere titolati musica. Tutti i giovani che studiano musica sono dovuti passare da quei brani, imprescindibilmente senza pensare di diventare Daniel Barenboim ma persone che con l’impegno costante hanno potuto fare della musica un dignitoso mestiere.

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